sabato , 27 Luglio 2024

Valle Argentina, anima selvaggia di Liguria

La Valle Argentina l’ho conosciuta per caso, ci sono capitata anni fa per tutt’altre ragioni che non interviste e approfondimenti montani. In Liguria, a dire il vero, ero andata sempre e solo al mare: ponente ligure faceva rima con paesini rosa e giallini affacciati sull’acqua azzurra, strette spiagge sassose affollate di ombrelloni e anziani milanesi e montagne dirupate che celavano un entroterra di cui non avevo idea né sentore. Poi, un giorno, ci hanno invitati nel paese di Triora: e allora, anziché fermarci a filo d’acqua, siamo saliti sulla corriera che da Arma di Taggia arrancava lungo questa valle stretta, alta, montana, mare alle spalle e roccia davanti.

Un mondo di fitte foreste e paesucci pietrosi in bilico come nidi sulle coste dei monti. Un’anima selvaggia, a due passi dalla Riviera dei Fiori.

Di monti più alti e borghi più belli

A tracciare la Valle Argentina è l’omonimo fiume, che nasce nel monte Saccarello e taglia la vallata fino alla foce, all’altezza del borgo di Taggia. Un mondo intero compresso in poco più di 40 chilometri, nei quali si passa dalle altitudini del monte più alto della Liguria al livello del mare: e a raccontare questa ricchezza di ambienti sono la flora, gli alberi, il clima, il paesaggio. Che è mediterraneo e alpino insieme, che è mite e pungente e salmastro e resinoso, tutto insieme.

La valle si imbocca da Arma di Taggia, e subito la strada comincia a salire. Ci si lasciano alle spalle l’enorme ponte dell’autostrada con i suoi mastodontici piloni, le costruzioni industriali attorno alla stazione, le rive ampie e sassose dell’Argentina che qui, alla fine della sua corsa, si allarga comodo, come a prendersi finalmente più spazio.

Bastano poche curve per tagliare via la costa dalla memoria, subito si tende alla montagna: i pendii circostanti sono percorsi dalle striature irregolari delle fasce e dei muretti a secco e pennellate dall’argenteo tremolante di migliaia di ulivi, il fiume è attraversato da ponticcioli in pietra a schiena d’asino. Tutt’attorno un susseguirsi di orti, di vitigni, di zucchine rampicanti e gonfi Cuor di Bue dalla buccia tesa, rossissima.

La prima parte della vallata racconta l’incontra della montagna con la campagna: vocazione agricola, soprattutto, tra i paesi di Badalucco e Montalto, quest’ultimo che sbuca sopra la strada come una delle Città Invisibili di Calvino, con le casette in pietra a comporre un puzzle di romanticismo che subito ci lasciamo dietro una curva, proseguendo ancora verso l’alto.

La strada è un susseguirsi di tornanti, di spazi aperti sempre più alti. Ci vuole un’ora per percorrerla tutta, questa vallata, e per la maggior parte del tempo i paesi sono un ricordo, oppure l’indicazione su un cartello blu puntato verso una qualche stradina laterale che sale, sale sempre, conducendo alle varie borgate: Carpasio, alle spalle di Montalto e con cui forma un unico comune, Glori, Agaggio, Andagna, Drego, Corte, quest’ultime tutte frazioni di Molini di Triora. Molini è un po’ lo spartiacque, paesotto che si sviluppa attorno all’Argentina in un gomitolo di carrugi, prima dell’ultimo strappo verso la testa della vallata, Triora con le sue frazioni e borgate: Realdo e Verdeggia le principali, e poi Cetta, Creppo, Bregalla, Goina, Loreto… Accrocchi di case stretti come pugni attorno a minuscoli campanili, le cui piccole luci a sera spezzano l’oscurità dei boschi tutt’attorno.

Valle Argentina tra streghe e brigaschi

Triora se ne sta appollaiata come un gufo sulla cima di un cocuzzolo. La strada vi arriva percorrendone le pendici, ed è tutto un guardare su a queste case di pietra una sull’altra, alcune ristrutturate e la maggior parte diroccate, stagliate contro il cielo limpido delle Alpi Liguri. È inserita nel circuito dei Borghi più Belli d’Italia e insignita della Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, è il comune con il territorio più vasto della provincia di Imperia (quasi 70 chilometri quadrati), eppure la sua popolazione non arriva ai quattrocento abitanti.

Eppure porta anche su di sé il peso e il fascino di una fama ambigua: quella conferitale dall’importante processo per stregoneria svoltosi tra il 1587 e il 1588, che torturò e condannò a morte diverse donne trioresi e gettò un’ombra di mistero sul paese.

Ma c’è dell’altro, che ha a che fare con un’epoca più recente e riguarda confini e storie interrotte. Verdeggia e Realdo, dicevamo, sono due delle principali frazioni di Triora: per raggiungerle dal paese ci vanno venti minuti di auto, continuando a salire lungo le pendici del Monte Saccarello. Realdo, quando si arriva è un nido d’aquila sulla roccia. Oggi è parte del territorio di Triora, ma storicamente era sempre appartenuto al Piemonte e ricaduto sotto la giurisdizione del paese di Briga Marittima. Altra cultura, altra lingua, altre usanze quelle brigasche: e con i “figùn” (cioè i liguri da Triora in giù) non sentivano di averci granché a che fare. Fino al 1947, quando con gli Accordi di Parigi Italia e Francia si spartirono questo angolo alpino e smembrarono il territorio di Briga Marittima tra due stati e tre regioni diverse. Alla Francia sono rimasti La Brigue e Morignole, al Piemonte Viozene, Piaggia, Upega e Carnino e alla Liguria Realdo e Verdeggia.

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