Inganna il colore: bianco candido, rifulgente nella luce che si riflette nel mare. Insomma pare che le vette aguzze siano sempre imbiancate di neve, pure nell’umida calura di agosto, ma è solo una delle illusioni delle Alpi Apuane, laddove l’acqua e la roccia si squadrano da vicino e il bianco è quello della polvere di marmo, il celeberrimo marmo di Carrara, ispirazione per grandi artisti e universalmente noto per la suq qualità e bellezza, ma soprattutto cuore profondo di queste terre alte, che fin dai tempi dei Romani sono state legate all’estrazione della materia calcarea…
Il marmo della leggenda
«Una leggenda narra che Ercole giunse qui dopo le sue fatiche, alla ricerca della montagna vicino al mare dove avrebbe trovato la felicità. Qui però litigò con il fratello: allora Giove, indispettito, incendiò completamente il bosco con un fulmine, mutandolo in marmo. Così sono nate queste montagne».
A raccontare questa leggenda è stata Manuela Righini, guida turistica della città di Carrara. E’ stata lei ad accompagnarci alla scoperta della bella città del marmo ai piedi delle Apuane, ed è stata lei a mostrarci il vero abbraccio tra mare e montagna, quello creato già dai tempi dei Romani, quando il materiale cavato nelle cave di Torano e Colonnata veniva lizzato dagli schiavi e trasportato fino a Luni, sulla costa, da dove prendeva il largo per tutto l’impero. Gli schiavi hanno con il tempo ceduto il passo ai cavatori, insediatisi nei vari villaggi attorno agli abitati di Massa e di Carrara, e l’economia del marmo ha continuato a plasmare il territorio, la sua società, le sue memorie e – anche – il suo presente. Da queste montagne Michelangelo scelse il blocco di marmo per la sua celebre “Pietà”, da queste montagne è stato cavato il marmo per le sculture del Canova o per la moschea di Abu Dhabi. Ma sono silenziose le storie che hanno reso possibile tutta questa meraviglia: sono quelle delle migliaia di uomini che hanno vissuto del marmo, l’hanno cavato, tagliato, trasportato (i sentieri di lizzatura sono ancora percorribili). Uomini duri come la roccia, bruciati dal sole riflesso sul candore marmoreo.
Oggi sono 82 le cave ancora in funzione nei bacini marmiferi di Ravaccione, Fantiscritti e Colonnata – i più famosi – e impiegano direttamente all’incirca un migliaio di persone. Molti sono cavatori storici, figli di cavatori a loro volta discendenti da cavatori: tradizioni di famiglia, portate con orgoglio.
Ricordi di marmo
Come la giovane e dinamica Fabiola Lazzareschi, fiera discendente di una stirpe di cavatori: il padre Alvise ha raccolto in un libro, dal titolo “La casa del colonnello”, le sue memorie sull’attività in cava, e lei porta avanti l’attività con uno slancio in più… Quello dell’arte: ha infatti ideato, insieme all’artista Marco Bonvini, un vero e proprio corso di scultura del marmo nella cava di famiglia.
Oppure come la stessa Manuela Righini, che con il figlio Luca Marchi ha creato Toscana Tour Experience, esperienza alla scoperta delle cave di marmo carraresi a bordo di una jeep: niente volantini patinati, qui l’esperienza della cava è reale, la jeep viaggia lungo le strade attorcigliate su cui transitano tir e camion stracarichi di blocchi bianchi.
Ci sono poi realtà come Torart, che ha unito la magia dell’arte a quella della tecnica: fondata da due giovani imprenditori, mixa metodi di lavorazione tradizionale con tecnologie più avanzate, come robot antropomorfi e scanner laser 3D per la realizzazione di opere ex novo, di progetti forniti dai clienti oppure di conservazione di opere d’arte già esistenti. Il laboratorio, nella Valle di Fantiscritti, si affaccia direttamente sulle cave.