giovedì , 2 Maggio 2024

Vallone delle Cime Bianche e la battaglia per proteggere l’ultima valle incontaminata

Potenti lobby contro semplici cittadini. Grandi comprensori contro camminatori e fotografi che, nel silenzio, cercano di proteggere e tutelare una delle ultime aree selvagge delle Alpi. E, nel mezzo, un progetto roboante e impattante che, in barba alla protezione comunitaria offerta dalla Rete Natura 2000, vorrebbe fare scempio di una delle ultime vaste zone ancora incontaminate dell’alta Val d’Ayas (Valle d’Aosta) in nome del dio dello sci. È una battaglia partita dal basso, dal costante e attento lavoro di un gruppo di appassionati che ha costruito massa critica e attenzione diffusa, quella che da anni viene combattuta per il Vallone delle Cime Bianche: una battaglia che racconta molto della predazione (reale, presunta, ma soprattutto spinta e auspicata) in atto sulle terre alte e di come una cittadinanza attiva e preparata può realmente essere in grado di contrastarla. Ne ho parlato qui su Montanarium con Marco Soggetto, in rappresentanza del progetto fotografico di conservazione e divulgazione “L’ultimo vallone selvaggio in difesa delle Cime Bianche” che ha lanciato nel 2017 insieme ad Annamaria Gremmo e Francesco Sisti.

Buongiorno Marco, grazie per questa intervista. Iniziamo parlando del Vallone delle Cime Bianche: ti va di raccontarci un po’ il contesto naturalistico in cui è collocata questa valle, e che cosa la rende così speciale?

Il Vallone delle Cime Bianche è un immenso e incontaminato corridoio naturale che si estende a monte di Saint Jacques fino allo spartiacque tra la Val d’Ayas e l’alta Valtournanche. Siamo appunto in alta Val d’Ayas, resa nota a livello paesaggistico anche dal recente film “Le otto montagne” (è qui che è ambientato il romanzo di Paolo Cognetti, da cui è tratto il film) nonché una delle valli valdostane del Monte Rosa. Questo per definire geograficamente il territorio.

Stiamo parlando di una zona ad altissimo interesse naturalistico, perché il Vallone delle Cime Bianche è l’ultima grande area della Val d’Ayas a non avere nulla. Con “nulla” non intendo solo impianti sciistici o bacini per l’innevamento artificiale: intendo anche nessuna strada, frazione o centro abitato, il che la rende una zona assolutamente intatta.

E’ un’area selvaggia, ricchissima di biodiversità alpina e magnifica sotto il profilo paesaggistico, proprio perché incontaminata. Questo ha fatto sì che venisse inserita nella Rete Natura 2000 in qualità di ZPS (zona a protezione speciale): è una zona protetta e come tale afferisce alla normativa comunitaria, nazionale e regionale sulle aree naturalistiche tutelate. Ciononostante, dal 2015 ad oggi si continuano a cercare deroghe o scappatoie per aggirare la protezione, vista come un “problema” da chi vorrebbe costruire l’ormai famoso collegamento funiviario che connetterebbe il comprensorio del Monterosa Ski con Cervinia. Collegamento che trasformerebbe l’intera area in un maxi comprensorio sciistico e danneggerebbe irreparabilmente un patrimonio naturalistico e paesaggistico di grande importanza, il quale – ci tengo a ripeterlo – è anche zona protetta.

La questione del collegamento funiviario tra il comprensorio del MonteRosa Ski e quelli di Cervinia, passando dal vallone delle Cime Bianche, è iniziata nel 2015: a distanza di otto anni, cosa è stato fatto? Come si sta evolvendo la dinamica?

Su questa storia si è fatta molta propaganda. Di concreto, rispetto a questo progetto, c’è poco. Ci sono soltanto due studi di fattibilità, il primo risalente al 2015 e un secondo, più approfondito, realizzato l’anno scorso, nel 2022. Obiettivo degli studi di fattibilità era ovviamente lo stesso: capire come costruire l’impianto che collegherebbe i due grandi comprensori sciistici della Valle d’Aosta, trasformandoli nel “comprensorio più grande d’Europa”, e poco importa che sia vero o che sia solo uno slogan buttato lì per fare scena.

Il collegamento connetterebbe il comprensorio del Monterosa Ski (precisamente dalla frazione di Frachey, che ad oggi è poco altro che un grande parcheggio legato alle piste) agli impianti dell’alta Valtournanche di Cervinia, atterrando proprio sopra il Vallone delle Cime Bianche. Stiamo parlando di due aree – quelle di Cervinia e del Monte Rosa – che anche a detta degli stessi sciatori si è spinta un po’ troppo oltre: l’industria dello sci ha devastato il territorio, l’ha sbancato e inquinato, diventando quasi troppo impattante persino per chi ne usufruisce. Questo presunto progetto di collegamento andrebbe a impattare ulteriormente.

Perché dici “presunto”?

Perché, come dicevamo poc’anzi, dal 2015 a oggi sono passati otto anni. In otto anni, se ci fossero i presupposti reali per avviare un simile progetto, lo si sarebbe già fatto. E invece il punto è proprio questo: nonostante la grande propaganda costruita attorno alla questione, nonostante l’illusione di un’invasione di turisti abbienti venduta come effetto diretto del nuovo impianto, nonostante il battage sistematico e gli incontri con la popolazione locale… I presupposti non ci sono.

Non c’è un solo atto amministrativo che possa portare verso la costruzione dell’impianto, a eccezione dei due studi di fattibilità. Le norme di protezione impediscono gli interventi progettati. Inoltre la questione “collegamento funiviario sul Vallone delle Cime Bianche” è controversa, causa sempre tensioni a livello politico. E poi, ovviamente, c’è la faccenda dei costi: dal 2015 a oggi non si è mai, e dico mai, presentato un singolo investitore privato per questo progetto.

A spingere per questo progetto è la Regione. Non ci sono in ballo forti interessi privati, al contrario: c’è semmai una potente lobby di albergatori e impiantisti che fa perno sul comprensorio di Cervinia e preme sulla regione, ma in sostanza di investitori privati non se n’è visto nessuno. Quindi sarebbero tutti costi che ricadrebbero sulla collettività, e non a tutti va a genio la cosa.

E poi c’è un altro dato interessante da considerare. E cioè il fatto che oggi il Vallone delle Cime Bianche è molto ricercato dagli escursionisti proprio perché è incontaminato: insomma, si potrebbe potenziare un già esistente turismo lento e rispettoso, anziché pensare di devastarlo con un progetto come quello della funivia.

Quindi, in sostanza, stiamo parlando in un progetto mastodontico a cui però manca qualsiasi base fattuale, e che da anni si sta muovendo esclusivamente nella dimensione dell’ipotesi. La comunità locale come vive questa battaglia? E’ a favore o contro questo presunto collegamento che andrebbe a impattare sul Vallone delle Cime Bianche?

Diciamo che anche chi inizialmente era del tutto favorevole inizia a vivere la cosa con un certo sconforto. In linea di massima, si è tendenzialmente favorevoli all’impianto nella zona di Champoluc (alta Val d’Ayas) e molto favorevoli a Cervinia, mentre scendendo a valle il consenso cala.

Ma è comprensibile. Il territorio di Cervinia sarebbe il maggiormente favorito da questa infrastruttura: otterrebbe un nuovo impianto, un nuovo collegamento e l’unione con altri comprensori senza subire alcun danno. Persino gli studi di fattibilità ammettono che la Val d’Ayas, invece, si beccherebbe un gran numero di svantaggi collaterali, oltre alla già citata distruzione del patrimonio rappresentato dal Vallone delle Cime Bianche: l’immenso aumento del traffico, dell’inquinamento e dei rifiuti da smaltire, ad esempio, ma anche la necessità di costruire nuovi parcheggi e ampliare a dismisura quelli già esistenti…

Tieni conto che il contesto valdostano è diverso da quello nazionale. Si tratta di un ambiente per forza di cose “chiuso”, e tendenzialmente si cerca di tenere tutto all’interno, battaglie per il territorio comprese.

Per quanto mi riguarda, questo è il modo migliore per perdere: quando si hanno davanti lobby potenti, in grado di esercitare una forte influenza politica oltre che economica, chiudersi dentro significa perdere in partenza, e non ce lo possiamo permettere. Perdere significherebbe veder irrimediabilmente distrutto un ambiente prezioso come quello del Vallone delle Cime Bianche.

E qui entra il gioco il vostro lavoro, dal progetto fotografico al comitato in difesa del vallone delle Cime Bianche. Ti va di raccontare come vi state muovendo per tutelare questo ambiente unico?

Dopo il primo studio di fattibilità, abbiamo pensato che bisognava iniziare a muoversi per far conoscere il Vallone delle Cime Bianche al di fuori della regione, per far capire cosa si rischia di perdere qualora lo scellerato progetto del collegamento funiviario andasse in porto. Così io, Annamaria Gremmo e Francesco Sisti nel 2017 abbiamo fondato un gruppo fotografico con fine divulgativo, “L’ultimo vallone selvaggio in difesa delle Cime Bianche”, mettendo la nostra passione per la montagna, per la fotografia e per questo angolo di Alpi incontaminato a disposizione di un progetto più ampio.

Avevamo un ideale preciso: raggiungere e mobilitare l’opinione pubblica nazionale, usando la fotografia come mezzo per comunicare la ricchezza delle Cime Bianche, la loro bellezza selvaggia e autentica. E la cosa bella è che fin da subito si è costruita e mobilitata una massa critica dal basso molto interessata alla tematica, vicina alla nostra battaglia, da tutta Italia.

Abbiamo avuto molte occasioni di divulgazione in giro per il Paese, e dalla grande base di attenzione creatasi attorno al destino minacciato del Vallone delle Cime Bianche è stato possibile creare nuove iniziative, instaurare connessioni e delineare strategie.

Cosa intendi con strategie?

Intendo la necessità di lavorare a step, per non disperdere le energie e rischiare di “arrivare secondi con fairplay”. E quindi, innanzitutto volevamo arrivare a condividere a livello nazionale il problema, portandolo all’attenzione di tutte quelle persone che – come noi – amano la montagna incontaminata. Poi, era fondamentale riuscire ad avere interlocutori politici al nostro fianco in sede di Consiglio Valle, perché come dicevamo poc’anzi, si tratta soprattutto di una battaglia politica: sarebbe stato ingenuo da parte nostra sottovalutare questo aspetto. Infine, avevamo bisogno di un supporto legale, per difendere concretamente la ZPS e il Vallone delle Cime Bianche.

Da qui è nato anche un comitato, totalmente apolitico, dal nome “Insieme per Cime Bianche”, con cui abbiamo avviato la raccolta fondi. Fondi necessari per le consulenze pre-contenzioso, per le spese tecniche e per la difesa legale a tutela dell’ambiente vallivo.

Insomma il tutto si è concretizzato in una difesa attiva e strutturata, partita dal basso, che ha unito realtà e attori diversi accomunati dal medesimo slancio, e da tutta Italia. Come a dire: è un problema della Val d’Ayas, ma è anche un problema di tutti. Questo è molto bello.

E infatti a inizio agosto c’è stata anche la terza (partecipatissima) edizione di “Una salita per il Vallone”, che organizzate ogni anno proprio per rimarcare l’attenzione necessaria per questo territorio…

Sì, la terza edizione si è svolta lo scorso 5 agosto e ha visto la partecipazione di oltre trecento persone. E’ stato bellissimo! Siamo partiti da Saint-Jacques, sopra Champoluc, e siamo arrivati alle porte del Vallone delle Cime Bianche, ad Alpe Vardaz: una camminata facile e non troppo impegnativa, così che potessero partecipare anche persone prive di preparazione strettamente tecnica.

Il senso di “Una salita per il Vallone” è proprio quello di sensibilizzare sulla bellezza di questo ambiente naturale, e sulla necessità di preservarlo dall’ennesimo scempio in nome dello sci. Siamo felici di constatare che è una battaglia condivisa da molti.


Per seguire il progetto di tutela del vallone delle Cime Bianche e tutti gli eventi in programma:

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