mercoledì , 1 Maggio 2024

Non ideologia, ma attivismo pragmatico per la montagna di domani. Intervista a Michele Argenta

Sui social lo si conosce come “Occhio del Gigiàt“, e la sua pagina è nel giro di poco tempo diventata un frequentato spazio di denuncia e attivismo contro le grandi opere impattanti sugli ecosistemi e sui paesaggi alpini, oltre che di sensibilizzazione sui mutamenti climatici e ambientali che stanno investendo le terre alte. Fuori dai social, Michele Argenta è un giovane ingegnere energetico che divide il suo tempo tra il lavoro e l’azione di divulgazione sulle tematiche connesse a inquinamento, crisi climatica e sfruttamento dei territori: «il presente ci chiede di osservare con maggiore attenzione i mutamenti che avvengono attorno a noi, soprattutto in un ambiente fragile come quello montano» spiega Michele. «Senza cadere in estremismi o ideologie, ma sempre con un occhio attento, pragmatico, votato a comprendere per poter agire».

In questa intervista, con Michele abbiamo trattato i temi dell’attivismo ambientale in montagna, delle grandi opere e della necessità di costruire reti dal basso, attente alla salvaguardia del proprio territorio.

Michele, come ti sei avvicinato al mondo dell’attivismo ambientale? Ti va di raccontare un po’ il tuo percorso, e come si sia sviluppato il tuo sguardo sulle questioni climatiche?

Sono nato a San Gregorio nelle Alpi, nel bellunese, ma dal 2012 abito e lavoro a Milano. Al netto del mio percorso come ingegnere energetico (mi occupo di progettazione di impianti e di efficienza energetica per il mondo residenziale e industriale), ho sempre avuto una certa sensibilità ambientale, un desiderio di capire ciò che stava succedendo e quale fosse l’impatto umano sul mondo che ci circonda.

E’ stato però nel 2018, con l’avanzare dei movimenti giovanili per il clima, che ho deciso di mettere a disposizione le mie conoscenze, per quel che potevo: ho studiato in inglese, mi occupo di materie scientifiche e so destreggiarmi abbastanza bene tra i vari report e le analisi specifiche del settore. Ho pensato che fosse utile declinare ciò che sapevo fare a servizio di battaglie che ho sempre trovato attuali e di primaria importanza. Ho fatto parte del coordinamento milanese di Extinction Rebellion e fino al 2020 ho partecipato a diverse azioni di divulgazione sulle tematiche della crisi climatica e delle questioni ambientali. Con l’arrivo della pandemia, l’attivismo climatico si è poi spostato interamente online; è stato a settembre di quell’anno che è nato prima il progetto Ci sarà un bel clima insieme all’amico e collega Giovanni Montagnani (si tratta di un’iniziativa di confronto e incontro sulle questioni ambientali ed ecologiche, che coinvolge attivisti, scienziati, giornalisti, politici e imprenditori), e poi dopo un paio d’anni la pagina L’occhio del Gigiat”, come strumenti divulgativo e visivo per raccontare tutte le problematiche connesse al clima e allo sfruttamento dei territori.

Tutto è partito dalla domanda: cosa significa per me, per noi, parlare di ecologia? Cos’è l’ecologia oggi, e di cosa si dovrebbe occupare, e come? Questo è il punto di partenza, che cerchiamo di sviluppare fuori da estremismi, ideologie e forzature.

La montagna ritorna spesso nei tuoi post ed è un po’ la protagonista della tua attività di divulgazione. Come mai? Qual è il tuo rapporto con la montagna?

La cosa forse più curiosa è che pur essendo cresciuto in quella “montagna di mezzo” di cui spesso si parla quando si affrontano le questioni della vita nelle terre alte, in realtà ho cominciato ad andare davvero in montagna e a frequentare l’ambiente montano soltanto dopo essermi trasferito per studio e per lavoro a Milano. Sarà stata una reazione al contesto estremamente urbanizzato, chi lo sa.

Al tempo stesso, sotto il profilo ambientale, la montagna è probabilmente l’ambiente in cui i cambiamenti e l’impatto antropico si vedono molto più che altrove. Per farla breve, le Alpi si stanno scaldando a ritmo doppio rispetto alle aree di pianura, con tutto ciò che questo comporta in termini di effetti diretti e indiretti. E non è una cosa che dico io: lo rilevano tutte le principali agenzie internazionali.

In montagna i cambiamenti climatici e la mano pesante delle grandi opere si vedono più che altrove, e infatti negli ultimi anni sta progressivamente scomparendo quella montagna “classica” e romantica a cui forse eravamo abituati da bambini, quella fatta di fiori, fiumi, ghiacciai incontaminati. E’ una montagna diversa, ed è fondamentale imparare a farci i conti. Anche, nel caso, facendo più attenzione a tutte quelle azioni infrastrutturali molto impattanti la cui reale utilità attuale è piuttosto dubbia… Penso ai grandi eventi, alla realizzazione di sempre più impianti, e via dicendo.

E qui arriviamo al progetto divulgativo la pagina “occhio del Gigiàt”. Chi è il Gigiàt, e perché il suo occhio scruta le terre alte del presente? Di che cosa si occupa questa pagina, esattamente?

La pagina “Occhio del Gigiàt” nasce nel 2022 da un’idea condivisa con Giovanni Montagnani e Pietro Lacasella, con l’intento di usare una piattaforma condivisa e visiva come Instagram per raccontare e spiegare in modo immediato – ma chiaro e ragionato – le problematiche connesse allo sfruttamento dei territori montani e alle questioni ambientali. Ma non c’era intenzione di mettersi in cattedra: l’abbiamo pensato soprattutto come uno spazio in cui chiunque potesse condividere foto, segnalazioni, riflessioni a 360° su queste tematiche. Di fatto l'”Occhio del Gigiat” è una pagina condivisa, vive dei contributi che arrivano da chi ci segue e condivide la preoccupazione e l’attenzione sui problemi climatici e ambientali. Ora la gestisco quasi interamente da solo.

Il nome, invece, deriva da un animale mitologico della Val Masino, simile a un caprone, già usato dagli alpinisti della Val di Mello quando, dopo la pandemia, si opposero al progetto invasivo di una ciclovia nella valle. In quell’occasione appesero uno striscione con la scritta “Il Gigiat vi vede”.

Ci piacque l’idea di un occhio vigile, radicato e montanaro sugli scempi e sulle problematiche attuali delle terre alte, e chiedemmo di poter utilizzare il nome per questa nuova pagina.

Attivismo ambientale, social network, società civile, grandi opere: secondo te, oggi, c’è maggiore consapevolezza sulla necessità di tutelare le montagne dagli eccessivi sfruttamenti? I social hanno aumentato l’attenzione condivisa su queste tematiche?

Gestire la pagina mi ha permesso di conoscere tante delle numerose associazioni e realtà locali che si occupano di attivismo e di tutela dei territori montani. E sono tante, dico davvero: negli ultimi tempi è andata crescendo una mobilitazione dal basso della società civile interessata a interrogarsi fattivamente sul futuro delle terre alte. Quale futuro? E quindi, quali investimenti? Se non ci possono essere risposte preconfezionate, allo stesso tempo non si può neanche pensare che i modelli del passato possano andare bene anche per il futuro: e di questo, sempre più gente se ne sta rendendo conto. Crescono i comitati, le reti di cittadini, le associazioni attente e attive: penso al progetto “L’ultimo vallone selvaggio – in difesa delle Cime Bianche”, penso al gruppo “Salviamo il lago Bianco” al Passo di Gavia, penso al Comitato Civico di Cortina che chiede un’interazione tra cittadini e istituzioni in vista del progetto Olimpiadi Invernali, al gruppo “Bormini per l’Alute“, per la protezione della Piana dell’Alute dalla costruzione della Tangenziale di Bormio, o a POW (“Protect Our Winters”, che coinvolge appassionati di sport outdoor nella tutela dell’ambiente)… ma ce ne sono molti altri.

Due sono le cose da tenere in considerazione: la prima, è che appunto i territori si stanno muovendo tantissimo. La seconda, è che le amministrazioni (soprattutto a livello regionale e statale e a livello di enti parco) tendono ad andare in un’altra direzione: quella delle grandi opere a prescindere.

I movimenti di cittadini, per quanto sempre più forti, sono ancora piccoli e hanno poca forza, perché tendenzialmente l’attenzione sulla tutela ambientale dell’ambiente montano è ancora molto bassa: sembra quasi che la montagna abbia a prescindere bisogno dello sviluppo economico massiccio e invasivo, senza il quale sarà destinata a morire… La “grande politica” su questo ci marcia, andando spesso contro gli interessi dei territori o delle piccole amministrazioni attive per una gestione oculata, attenta e conservativa del territorio montano. In mezzo a questi due strati, c’è la popolazione che abita le terre alte, e che vive spesso una forte disaffezione alla politica (intesa come partecipazione attiva). Il primo passo importante da fare forse è questo: rendersi conto che bisogna fare rete – rete di persone, di sguardi, di competenze diverse – per avere il potere di tutelare la propria casa da chi la vuole sfruttare, o da chi ignora le nuove urgenze e necessità che stanno venendo avanti.

Secondo la tua esperienza, quali dovrebbero essere i capisaldi di un attivismo ambientale condiviso per le terre alte?

La ricerca dell’equilibrio e il pragmatismo.

Fare attivismo ambientale e climatico in montagna non significa affatto spingere per la wilderness più totale, cosa che peraltro sulle Alpi sarebbe anche errata, visto che sono montagne plasmate dall’uomo in tutti i loro paesaggi iconici. Non significa neanche andare a bloccare qualsiasi cosa o qualsiasi intervento di sviluppo, o andare a pestare i piedi a chi in montagna ci lavora per mantenere un territorio, con tutte le difficoltà che questo comporta. Le montagne – almeno le montagne italiane – sono da sempre abitate ed è giusto che si continui a poterle abitare: ma serve trovare un equilibrio tra ideologia e pragmatismo. Serve capire quali opere sono davvero utili e quali invece sono solo climaticamente e ambientalmente impattanti su territori già fragili, quali possono realtà servire alla comunità e quali invece servono solo per ingrassare gli interessi di qualcuno, pesando poi su tutti gli altri (comprese le generazioni future).

Non ci serve un ambientalismo ideologico: per la montagna di oggi e di domani c’è bisogno di un ambientalismo pragmatico, poggiato su basi solide, lungimirante nella capacità di offrire soluzioni realistiche a problemi attuali e di costruire insieme investimenti ragionati, utili, condivisi.

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