Difficile parlare di montagna senza parlare di formaggio. Difficile perché pochi prodotti rappresentano l’ambiente montano e la sua società come la caseificazione: modo per conservare il latte nel tempo, arte culinaria caratteristica di luoghi e tempi andati, sapori rappresentativi di paesi e comunità… Il formaggio rappresenta un po’ tutto questo. E anche la Val di Scalve bergamasca, da brava terra prealpina strettamente legata agli alpeggi montani, non è da meno. Con una marcia in più: qui, infatti, fare il formaggio significa parlare di filiera di comunità, dall’inizio alla fine.
Latteria Sociale Montana di Scalve
Abbiamo incontrato Lorenzo Bruschi a Vilmaggiore, borgata di Vilminore di Scalve, nella sede della storica Latteria Sociale Montana di Scalve. Lorenzo ne è il direttore, e porta avanti con passione e orgoglio una storia di territorio che dura dal 1968, quando un ristretto numero di soci aprì la cooperativa agricola per non disperdere le potenzialità casearie della valle e offrire prodotti locali al 100%. «Oggi siamo una ventina di soci, tutti allevatori della zona», spiega Lorenzo, che è scalvino di cuore se non di nascita. «Sedici soci conferiscono latte vaccino, altri 4 latte caprino».
«La cooperativa nasce con l’idea di valorizzare la produzione locale, di fare gruppo e unione per non cedere ai ricatti della grande distribuzione casearia italiana. Noi paghiamo il latte il giusto, e quasi tutti gli allevatori della valle lo conferiscono a noi. Noi, lo specifico, raccogliamo solo ed esclusivamente latte dalla Val di Scalve: oggi ne possiamo lavorare circa 50 quintali al giorno».
Lorenzo ci accompagna a visitare il caseificio e lo spaccio – siti entrambi in un locale costruito nel 1978, circa dieci anni dopo l’avvio della cooperativa – e intanto ci presenta i vari prodotti caseari della tradizione scalvina, tradizione che la Latteria potenzia con macchinari di ultima generazione e un forte senso di innovazione. «Per noi è importante preservare quelle che sono le radici dei sapori della valle», spiega ancora Lorenzo. «Infatti il latte proviene da allevamenti nutriti quasi esclusivamente a erba e fieno, che trascorrono l’estate sugli alpeggi, e nelle preparazioni seguiamo le ricette tramandate dai nostri nonni e bisnonni. Lo facciamo, però, nel rispetto di una filiera produttiva sicura, sana, attenta e sempre votata all’innovazione. Insomma uniamo lo ieri con il domani».
Storie di formaggi e tradizione
Il formaggio principe di queste vallate è la Formaggella della Val di Scalve, nome e marchio registrato come produzione tipica locale e realizzata con latte intero non pastorizzato, nonché vincitrice nel 2007 della medaglia d’argento alle olimpiadi internazionali del formaggio di Montagna a Oberstdorf. La Latteria ne produce in media 400 al giorno.
Ma c’è anche il Nero della Nona 1753, che la Latteria produce “in affitto”, perché la ricetta appartiene alla famiglia che l’ha ritrovata, casualmente, durante la ristrutturazione di un’antica baita in località Nona. Pare infatti che la ricetta di questo formaggio – con pepe in grani e in polvere sulla crosta – risalga addirittura al 1753: è stata rinvenuta in una scatoletta di latta all’interno di una nicchia, con la dicitura furmai nègher (“formaggio nero”) sul manoscritto e la data incisa fuori. «Quell’antica ricetta è stata sviluppata e perfezionata», specifica Lorenzo. Pare che l’uso ricorrente di spezie, in questa vallata alpina apparentemente lontana dalle rotte commerciali più blasonate, dipendesse dai rapporti e dagli scambi con la Valcamonica e in generale il bresciano, sotto l’egida della Serenissima.
«Tra gli altri formaggi scalvini di nostra produzione, ci sono poi lo Scalvitondo e il Quadrel, entrambi a pasta cotta, ma anche lo stracchino Fior di Scalve, lo stracchino del Gleno, lo Scalvitufo con tartufo. E abbiamo da poco iniziato a proporre anche prodotti caprini, come lo zola di capra, il gelato o il caprino stagionato».