lunedì , 29 Aprile 2024

Chignadì, una storia di mezza montagna

Sopra il lago d’Iseo, al confine tra le province di Bergamo e di Brescia, c’è un posto che sta tornando a vivere grazie all’impegno e agli sforzi di un giovane “novello custode montano”. E’ il Chignadì, baita bicentenaria di mezza montagna che Daniele – milanese di origine ma (quasi) naturalizzato bresciano – sta ristrutturando passo dopo passo, confrontandosi con le problematiche, le difficoltà e le sfide del lavorare in altura e provando a trovare la quadra tra “vita selvatica” e “vita normale”. Una scelta, la sua, maturata da una grande passione per la montagna e anche, forse, dalla voglia di misurarsi con una nuova dimensione: più pratica, più lenta, più a contatto con la natura e con le proprie forze.

«Ristrutturare una casa in montagna significa cambiare il modo con cui si guarda alle cose», racconta. «Dopo, non sei più la stessa persona».

Che cos’è il Chignadì?

Il Chignadì è una baita, dicevamo. Ma non da sempre, perché prima era una stalla e anche un licensì. Lo potremmo tradurre dal dialetto con “licenzina”, cioè piccola licenza di fare qualcosa: cioè, di vendere in determinati momenti dell’anno le eccedenze che si erano prodotte, come il formaggio o il vino.

Non solo. Il Chignadì era anche l’ultima casa che chi si dirigeva verso i pascoli e le borgate alte sul Monte Guglielmo incontrava sul proprio cammino, e questo l’aveva in una certa misura trasformato in un punto di incontro e condivisione: non proprio un’osteria, ma un luogo di convivialità, di chiacchiere, di umanità intrecciata lungo sentieri immersi nei boschi di castagno.

Quando Daniele ha trovato la baita, in realtà, queste storie non le sapeva. Le ha scoperte man mano, entrando in contatto con il luogo, imparando a conoscerlo e a lavorarci insieme… Un viaggio che dura ormai da tre anni.

La storia di Daniele

Facciamo un passo indietro. Che cosa c’entrano un non-montanaro-di-origine, come Daniele, con una baita di mezza montagna, senza strada agevole per arrivarci e circondata dai boschi? C’entra il desiderio di ritagliarsi uno spazio di natura e misura, c’entra la voglia di cercare un luogo da chiamare casa, c’entra il sogno di un cambio di passo: così, Daniele ha iniziato a guardarsi attorno. Ha volto lo sguardo verso le montagne che già percorreva a piedi, zaino e tenda in spalla, e ha cominciato la sua ricerca.

«Una delle prima cose che ho imparato» spiega «è che il prezzo di una casa in montagna non dipende dalla sua metratura ma da altri parametri: se c’è acqua, se è esposta al sole, se ci si arriva con la strada, se è già dotata di impianti, se è sita o meno in una zona turistica o particolarmente ambita, se ha o meno terreno attorno».

Prima di trovare il Chignadì, spiega, aveva visto almeno altre quaranta baite, principalmente nelle Prealpi Orobie bergamasche e bresciane. Poi, il caso volle fargli trovare l’annuncio del signor Gianni, che dopo quarant’anni di custodia amorevole aveva deciso di vendere la sua piccola baita sul lago d’Iseo… Il Chignadì, appunto. Daniele andò a vederla, gli piacque, e finì per acquistarla. Con l’obiettivo di ristrutturarla, renderla abitabile e far sì che potesse diventare il suo rifugio, il suo posto dell’anima e anche – perché no – il suo luogo di lavoro, visto che aveva (e ha tutt’ora) la fortuna di poter spesso lavorare da remoto.

Chignadì: una scelta radicale, ma non poi così tanto

Dal momento dell’acquisto a oggi, Daniele ha continuato a lavorare per rendere il Chignadì un posto nuovamente abitabile e vivo. Lavori che, specifica, l’hanno portato a confrontarsi con tutta una serie di problematiche pratiche, di difficoltà che nemmeno immaginava, di sfide che l’hanno profondamente mutato. «Ristrutturare una casa in montagna non è come farlo in città: solo che io, questo, non lo sapevo. L’ho imparato, sbagliando e affrontando i problemi man mano che si presentavano» racconta Daniele, ridendo.

«Un esempio? E’ difficilissimo trovare ditte o professionisti che siano disposti a venire a lavorare in un posto così scomodo. Ancora: se non hai abbastanza soldi per pagare un transfer di materiale con l’elicottero e la tua baita non ha una strada carrozzabile adatta a far salire anche solo un camioncino, o un’auto, beh, non puoi che fare una cosa… Caricarti in spalla un sacco di cemento alla volta e camminare. Insomma, uno all’inizio non ci pensa, no?».

Oggi, comunque, è a buon punto: certo, i lavori da fare non mancano mai, ma inizia a pensare a che cosa potrebbe essere il Chignadì nel futuro. Un luogo per momenti culturali, magari, e uno spazio per occasioni di micro-ospitalità (ma non un b&B). Di sicuro, un luogo di convivialità, nel solco della tradizione della baita.

«Una cosa di cui sono contento, è che non è stata una scelta radicale» spiega ancora Daniele. «Ho mantenuto il mio lavoro, non mi sono (ancora) trasferito al Chignadì, perché mi piace tenere questa alternanza… rende il tutto meno radicale, appunto, e anche meno spaventoso. E’ una terza via, se vogliamo, tra i due estremi del “mollo tutto e vado in alpe” e del “resto schiacciato in una vita che non mi soddisfa”. Molalre tutto può fare paura… Però, ecco, non è detto che sia necessario. Si può anche fare un passo alla volta. Imparando man mano, e capendo che cosa si desidera, e costruendoselo gradualmente».

“Montanari in diretta”: l’intervista con Daniele

Di questo e di molto altro, io e Daniele abbiamo parlato non dal vivo ma nel corso di una bella diretta su Instagram, nell’ambito del progetto “Montanari in diretta”. Daniele ci ha raccontato il suo percorso, le difficoltà incontrate, ciò che la montagna e il Chignadì gli stanno insegnando: ha spiegato cosa significhi ristrutturare una baita in montagna e le cose a cui prestare attenzione, e ha offerto il suo sguardo e la sua esperienza per chi altri vorrebbe fare questo tipo di percorso.

👇Se volete ascoltare tutta l’intervista, eccovela qui sotto 👇

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