Ho una passione smodata per le vecchie case di montagna: le case contengono tutte le vite che vi sono passate dentro, stratificate, aggrappate ai muri e acquattate nei sottotetti. E quante ce ne sono. Quante case abbandonate allo scorrere del tempo e del mondo, cimeli immobili di un tempo vivo! Vi entro sempre in punta di piedi, quando mi capita, con una sorta di pudore: ho quasi la sensazione di violare un santuario, di fare pornografia del ricordo, e mi domando sempre se sia corretto, se sia giusto, se anche le vite passate non meritino il diritto di svanire nel silenzio, senza guardoni postumi.
Raccontare la montagna significa però anche raccontarne le case vuote, i paesi silenziosi, gli echi lontani… Non per celebrarne la decadenza, ma per preservarne la dignità di luoghi un tempo abitati, vissuti e amati.
Forse è per questo che amo tanto le storie di chi ha ridato vita a vecchie case, a cascine nascoste, a casali abbandonati. Le storie di chi ha raccolto il testimone di luoghi dimenticati. Ma per fare questo ci vogliono gentilezza, discrezione, rispetto… Ritmi diversi da quelli del “tutto e subito” e del “subito comunicato” a cui siamo abituati oggi. Prendersi cura di vecchie case è un prendersi cura delle radici e riscoprire una “tenerezza dell’abitare” che oggi più che mai potrebbe dare senso al nostro vivere.
Erica Balduzzi, 26 gennaio 2022