venerdì , 26 Aprile 2024

Sulla fatica del vivere la montagna

C’è una cosa che ritorna spesso, nelle parole delle persone che intervisto a proposito del loro vivere in montagna: è la consapevolezza di quanto questo ambiente sia esigente, perfino duro. La montagna, mi ricordano tutti, non regala nulla. La montagna insegna che la più forte è sempre lei. Alla montagna la terra va strappata, rubata, palmo a palmo, e lei cerca sempre di riprendersela.

Questo non collima con molte delle narrazioni estetizzanti che vengono costruite sulle terre alte, forse perché è meglio parlare di aria pulita e uccellini alla finestra che di fatica fisica, mentale e talvolta anche sociale. La fatica dopotutto non va di moda e non fa brand. E’ molto più comodo dire che per vivere in quota bastino “l’amore per la natura” o il “desiderio di vivere una vita più autentica”, perché altri aspetti – che so, la fatica del procurarsi la legna, l’orto che rende poco, le strade talvolta pessime o vittime di frane o smottamenti, e via dicendo – non sono romantici, non fanno brand, rimandano forse a un’immagine di montagna arcaica e dura che non fa gioco a chi vuole rilanciare le terre alte formato cartolina e IG.

E allora forse, quando si parla di ripopolare le terre alte, è necessario riabbracciare l’idea di fatica necessaria e comunitaria: togli alla montagna la sua dimensione di villaggio, di gruppo, di comunità, e ne togli l’anima, la rendi paccottiglia. E badate bene, non si tratta di idealizzare le dinamiche sociali montanare (dopotutto gli esseri umani sono tali ovunque, con le proprie grandezze e le proprie miserie): si tratta di favorire un ritorno lento e diffuso, in grado di mantenere il territorio nel corso del tempo, anziché creare riserve-bomboniera per ricchi. Si tratta di favorire ricostruzioni di comunità legate al territorio, anziché avulse da esso. E, anche, decostruire l’immagine romantica del vivere la montagna, tornando a una dimensione concreta e realistica: rinaturalizzare la fatica necessaria per viverla, darle dignità, riscoprire l’umiltà del vivere sul dorso di un gigante, senza pensare di dominarlo e cercando semmai di non esserne schiacciati.

Erica Balduzzi, 24 marzo 2022

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