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Arte performativa nella borgata spopolata, grazie a ORA Orobie Residenze Artistiche

«Quando mi sono trasferita qui in pianta stabile, nel 2022, ero l’unica abitante della frazione: Castellaccio era disabitata da tempo, stava iniziando a cedere sotto lo scorrere inesorabile del tempo. Io me ne sono presa cura, e la gente del paese si è presa cura di me, perché rivedevano la vita nella borgata in cui molti di loro erano cresciuti. Si è creata subito una reciprocità inaspettata». A parlare è Erica Meucci, classe ’94, danzatrice e artista performativa nonché fondatrice di Ora (Orobie Residenze Artistiche), che organizza residenze artistiche in stretta relazione con il luogo che ha scelto di abitare: Castellaccio, frazione disabitata di Piateda, nelle Orobie valtellinesi, minuscola borgata montana abbracciata dai boschi, testimone di un passato abitato e di un presente che, dopo anni di silenzi e abbandoni, sta cambiando rotta. Anche grazie all’arte performativa.

[Questo articolo è stato pubblicato su L’Altramontagna il 17 marzo 2024]

In montagna, alla ricerca di tempo e spazio per creare

A Castellaccio, Erica ci è finita un po’ per caso. Originaria di Milano, si è diplomata come danzatrice nel 2016 alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi e ha iniziato a sviluppare il proprio percorso di ricerca artistica in autonomia: «La mia ricerca si concentra nel campo del movimento» spiega Erica «Ma Milano non mi dava l’aria né lo spazio di cui avevo bisogno. Ero un po’ in crisi: sentivo forte il desiderio di creare, ma sentivo al tempo stesso che lì non avevo modo di perdermi nel processo, che dovevo per forza essere produttiva… In un lavoro come quello creativo, che per sua natura non segue le regole dell’economia, era un controsenso. Mi sentivo incastrata».

Poi sono arrivati la pandemia di Covid e il lockdown, e con essi la necessità impellente di evadere dai confini stretti della città: così, Erica ha scelto di spostarsi per qualche tempo a Castellaccio, frazione del comune di Piateda (SO), sita sul versante ombroso e quindi meno frequentato e meno turisticizzato della Valtellina, appoggiandosi alla casa estiva del nonno dove aveva trascorso qualche settimana durante l’infanzia. Insomma, dalla città alla montagna, in un percorso che non era stato né pianificato né progettato.

«All’inizio volevo soltanto andarmene dalla città nel momento di claustrofobia totale» spiega Erica «Ma poi mi sono accorta che qui stavo meglio, e soprattutto creavo meglio. Staccarsi dalla città per salire in montagna ha significato allontanarsi dalle logiche, dai piani e dai programmi altrui, per immergersi invece nei ritmi e nei suoi di ciò che mi circondava: il bosco, la cascata, le stagioni. Non ero più io a plasmare la mia giornata: lasciavo che si plasmasse insieme al contesto che mi circondava. Fu una rivelazione molto potente, che diede grande linfa al mio processo creativo».

Arte per la borgata

Per un po’, nei mesi successivi, Erica fa avanti e indietro dalla borgata, dividendosi tra Castellaccio e Milano, e nel mentre inizia a costruire il progetto delle residenze artistiche e della rassegna di arti performative tra le frazioni di Piateda. È così che nasce Ora, Orobie Residenze Artistiche, ed è così che nasce anche Rami d’Ora, un festival di danza itinerante che ha proprio come fil rouge la scoperta dei piccoli luoghi e delle frazioni del territorio. Nel mentre, Erica tesse rapporti, conosce il territorio, sviluppa i progetti: e sono sempre progetti di rete – l’arte che si intreccia al luogo e il luogo che influenza l’arte – e settimana dopo settimana, evento dopo evento, essi crescono, attirano gente, coinvolgono persone del paese così come gente da fuori.

Dopo due anni, nel 2022, Erica si trasferisce definitivamente a Castellaccio: «Sono diventata la prima abitante stabile dopo un bel po’ di tempo» ride «Ora abito qui con il mio cane: da sola, certo, ma penso ci sia molta meno solitudine qui, dove si diventa parte di una piccola comunità, che in città, dove potenzialmente c’è tutto ma di fatto manca sempre il tempo per coltivare tutto a dovere». 

Prendersi cura, ricevere cura

Una delle spinte decisive alla scelta di restare a vivere a Castellaccio, per Erica, è stato l‘incontro e il rapporto con la comunità locale. «La gente di Piateda è molto legata a Castellaccio, molti di loro sono nati e cresciuti proprio nella frazione e se ne sono poi andati per motivi di lavoro» spiega «Insomma ci tenevano e soffrivano nel vederla abbandonata… Con l’aiuto della mia famiglia, ho iniziato a prendermi cura dei vari prati invasi dai rovi, del bosco e del territorio: la cura che sto mettendo in questo luogo è stata riconosciuta, e questo fa sì che gli abitanti di Piateda a loro volta si prendano cura di me e mi facciano sentire protetta, bene accolta. Alcuni esempi? Capita che mi aiutino ad aggiustare cose, o che mi avvisino quando c’è un’anta aperta o qualcosa che non va, o addirittura che vadano loro a sistemarla se io non ci sono…».

La parte più delicata, continua Erica, è stato il primo contatto: come spiegare di che cosa si occupa, a un territorio che con le arti performative ha poca dimestichezza e che non è abituato all’arte dal vivo? Come superare la diffidenza iniziale e le possibili incomprensioni? Per Erica, la parola d’ordine è sempre stata una: collaborazione. «Abbiamo iniziato proponendo di riprendere insieme l’organizzazione delle feste locali che da qualche anno erano andate perdute» spiega. «Come la Festa d’Autunno a Castellaccio, una vera e propria tradizione del passato che però, essendo ormai la frazione disabitata, non si faceva da un po’. Insomma ci siamo ricollegati alle usanze e all’identità del territorio, facendo quello che potevamo per aiutare a tenerle vive o a riattualizzarle». A questo, continua Erica, si è aggiunta la semplice richiesta di un aiuto concreto, ad esempio nella realizzazione delle scenografie per alcune performance, che ha permesso alla gente del posto di sentirsi parte del processo creativo e, quindi, di avvicinarsi ad esso.

L’arte come ponte con il territorio

Ora Orobie Residenze Artistiche nasce con l’intento di offrire anche ad altri artisti e creativi lo slancio liberatorio e ispirante del territorio e di proporre uno spazio sereno e vibrante per portare avanti la propria ricerca, in stretto contatto con il luogo, il bosco e le frazioni: «Danza, musica, teatro sono tutte arti performative che creano un legame, fosse anche solo fisico, con lo spazio in cui si manifestano» spiega Erica. «Come Ora facciamo parte di IntercettAzioni, il centro delle residenze artistiche di Regione Lombardia, e organizziamo sei residenze artistiche all’anno, offrendo agli artisti selezionati un compenso per lavorare qui una o due settimane. L’idea di base è quella della convivialità, ma anche quella di lasciare ciascuno libero di seguire il proprio percorso artistico in un contesto altamente sensoriale, molto immersivo e lontano dai ritmi e dalle regole della città. Qui c’è molto silenzio, per arrivarci ci vogliono circa venti minuti a piedi… Chi ha bisogno di creare, qui le condizioni ideali le trova, e senza pressioni esterne».

Accanto alle residenze artistiche, continua Erica, insieme agli amici e colleghi Francesca Siracusa e Riccardo Olivier – ma anche grazie al grande lavoro della giunta comunale e del Sindaco Simone Marchesini – ha da quattro anni strutturato il progetto di rami d’Ora, il festival di danza che ha come filo conduttore il cammino e la scoperta di piccoli luoghi sconosciuti, sentieri e frazioni, e che tra fine maggio e fine giugno organizza eventi e performance nelle varie borgate del territorio.

«Sai qual è la cosa migliore? È che l’allestimento di spettacoli nelle frazioni più piccole di Piateda è apprezzatissimo dagli abitanti. Si sentono visti e partecipi» racconta Erica. «Una volta è addirittura capitato che abbiano organizzato un pranzo spontaneo per tutti quanti, mentre un’altra volta ci hanno invitati tutti a vedere le loro vigne… Insomma si sono creati ponti, e il mezzo per farlo è stato proprio l’incontro tra arte e territorio. È nato un senso di accoglienza, un desiderio di mostrare e far conoscere il proprio luogo, e anche un moto d’orgoglio per il proprio paese o per la propria frazione».

Le foto utilizzate nell’articolo sono gentilmente concesse da Carla Ariosto, Flora Katalin Orciari e Viola Nedrotti 

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