sabato , 27 Luglio 2024

Di cesti, di intrecci e di antiche arti manuali

Erano mesi che Martin, il mio compagno, mi raccontava di quanto gli sarebbe piaciuto imparare a intrecciare un cesto in vimini. A casa ne avevamo già diversi – vecchi cesti ritrovati nell’orto, rappezzati con un bastone al posto del manico, oppure regalati da amici – ma il suo preferito era un cestino rotondo di rami in salice bianchi e rossi, intrecciati a formare un’alternanza delicata, che avevamo acquistato durante una fiera di scambio di sementi in Valle Imagna (BG) da Davide Gotti, giovane cestaio: “Ecco”, mi aveva detto in quell’occasione. “E’ da lui che vorrei imparare a fare un cesto, prima o poi”. Lo seguiva già da qualche tempo sui social, dove è presente come “I cesti dell’Orso“, e ne era affascinato: perché i suoi cesti erano splendidi, perché lui era giovane, perché nella sua arte riecheggiava qualcosa di antico e lento, contrastante con il mondo della fretta a cui eravamo abituati. E così, infine, abbiamo deciso che era tempo di provare: abbiamo contattato Davide, ci siamo accordati, e lui ci ha aperto le porte del suo laboratorio per insegnarci a intrecciare il nostro primo cesto… E per aiutarci a comprendere meglio una forma di artigianato che accompagna le genti rurali fin dai primordi dell’umanità.

Una storia di cesti e artigianato

Arriviamo ad Almenno San Salvatore mentre una nebbiolina umida avvolge la Valle Imagna come una ragnatela. E’ arrivato l’inverno: lo si sente dalla selvaticità dell’aria che cala dalle Orobie in un guizzo gelido, scivolando subito sotto il bavero della giacca, e una pioggerella sospesa si appiccica al parabrezza dell’auto e poi agli occhiali, al viso, ai capelli. Non la giornata migliore per andare in montagna, forse, eppure stranamente suggestiva. Il paese è deserto, la piazzetta pure, e io parcheggio la Panda in quella desolazione grigia che ammanta tutti i paesotti nei giorni di pioggia infrasettimanali di tardo autunno, pregustandomi il tepore della bottega artigianale che ci accoglierà tra poco…

“Ciao ragazzi!”, ci saluta Davide quando entriamo dal cancello. “Ci mettiamo qui fuori, ok? Che tanto non fa così freddo. E poi l’umidità aiuta a mantenere flessibile i rami”.

E tanti saluti al tepore della bottega artigianale. Nel centro del cortile sono posizionati un lungo tavolo, qualche sedia tutt’attorno e soprattutto ampie fascine di rami – di lunghezza, colore e spessore diversi – che affollano il resto dello spazio, alcune poggiate contro il muro, altre stese per terra: la nostra bottega per questa giornata. Lo ammetto: io avevo grandi perplessità sulle mie possibilità di tirare fuori dalla giornata un cesto decente, visto che sono tendenzialmente poco portata per le attività manuali, così mi sono approcciata all’esperienza di cesteria con un misto di curiosità e sfiducia (verso me stessa, non verso il cestaio!), dicendomi che al massimo avrei usato la giornata per intervistare Davide e portarmi a casa, se non un cesto, almeno una bella storia…

Non solo intrecci

E quella di Davide è a tutti gli effetti una bella storia: una storia che parla di affermazione personale, di ricerca artigianale, di riscatto ma anche di rispetto, di conoscenza del territorio, di comprensione per l’ambiente che ci circonda. “Ho iniziato a praticare la cesteria all’incirca sei anni fa, insieme alla persona che è stata il mio maestro: da lui mi sono avvicinato a quest’arte e ho iniziato a conoscerne le basi”, ci racconta, mentre seguendo le sue indicazioni iniziamo a preparare la base per il nostro cesto. Abbiamo deciso di fare un polacchino, un cesto tipico del nord Europa e abbastanza facile anche i principianti come noi: Davide ci mostra come avviare l’intreccio per la base, ci corregge, disfa gli errori e ci fa ripartire daccapo per svariate volte. Non è uno di molte parole: è un maestro “alla vecchia maniera”, prima la pratica poi la teoria, e anziché spiegare preferisce mostrarci il processo e farci tentare (e sbagliare) sempre una volta in più.

Lui – ci racconta tra un intreccio e l’altro – prima di dedicarsi a tempo pieno alla cesteria lavorava in una cooperativa sociale in Valle Imagna: ma era una situazione precaria, non gli dava alcuna sicurezza e non si trovava bene. Così, infine, ha deciso di cambiare e di buttarsi in questa nuova avventura artigianale: dapprima a piccoli passi, provando e riprovando, sbagliando e tentando di nuovo. “Le basi le ho imparate dal mio maestro”, ci spiega. “Ma molto altro l’ho imparato da autodidatta, guardando i video su YouTube e sperimentando a mia volta i vari processi”.

Che non riguardano soltanto l’intreccio di per sé, tutt’altro: bisogna conoscere i diversi tipi di legno, le fasi di sviluppo e maturazione dei rami, i momenti giusti per il taglio. Bisogna sapere come lavorarli, quanto metterli a mollo perché restino flessibili, come si comportano una volta essiccati. E poi, ancora: costruire un cesto significa comprendere anche la distribuzione fisica delle forze, altrimenti finisce che la base si sfonda se lo si carica troppo, o il manico si spezza.

A queste conoscenze Davide aggiunge anche un tocco artistico: nella scelta dei rami – alcuni scortecciati, altre invece ancora grezzi – e nell’organizzare l’intreccio, disegna sul suo cesto un susseguirsi di fantasie a colonne bianche e rossicce, chiuse in alto da una rifinitura del medesimo colore rossastro. E’ un bellissimo lavoro, di quella bellezza essenziale che acquisiscono le opere artigianali nelle mani di chi, quell’arte, la maneggia in tutte le sue sfumature.

Un processo articolato

Dopo anni di pratica, Davide ormai sa intrecciare praticamente ogni cosa. Realizza cesti con la base in legno o intrecciata, graziose e veloci casette per uccelli, stelle di Natale da appendere sulla porta, ma anche grosse gerle tradizionali locali per la raccolta del fieno, squadrate ceste da raccolta oppure opere di cesteria di altre tradizioni europee. “Ogni paese e ogni zona hanno sviluppato una propria arte cestiaria”, spiega. “Legata principalmente ai materiali che naturalmente si reperivano in loco. Tra i materiali più utilizzati ci sono senza dubbio i rami di salice, ma anche le canne, il bambù, i rami di nocciolo… Qualsiasi cosa sia sufficientemente flessibile e resistente può essere utilizzata per realizzare un intreccio e quindi un cesto”.

Ci spiega poi che gran parte del lavoro consiste nel reperimento dei rami: da qualche tempo, accanto al canale che scorre poco distante, usa alcune strisce di terreno per coltivare diverse varietà di salice, i cui rami costituiscono la base del suo lavoro. Non solo: piantando alcuni tipi di salice lungo le rive, fa anche un’opera ambientale, perché si preservano le sponde dall’erosione. “In questo modo ho sempre i rami a portata di mano”, racconta. “Però capita che non bastino, che mi commissionino cesti grandi o urgenti e io non abbia il materiale giusto a disposizione: allora lo cerco nel bosco, oppure compro direttamente qualche fascina… Non è una soluzione che amo, ma talvolta è comoda”.

Ma il processo non prevede soltanto la raccolta delle fascine. Prima di preparare un cesto, i rami vanno tenuti in ammollo per almeno una settimana, così che siano ancora più flessibili: Davide usa un paio di vasche apposite, posizionate nel garage poco distante che funge anche da magazzino del materiale. Se si vuole realizzare un cesto chiaro, i rami vanno puliti dalla corteccia. Poi c’è tutta la parte della selezione delle varie misure: i rami un po’ più spessi verranno usati per i montanti del cesto, quelli più lunghi e sottili per i tessitori. E ovviamente ci sono un sacco di variabili in base alle dimensioni del cesto, all’utilizzo che se ne vuole fare e persino il modello. Insomma, un percorso tutt’altro che facile.

Habemus cesto!

Per tutta la mattina lavoriamo di buona lena sotto una pioggerella leggera, quasi sospesa, che paradossalmente rende il tutto più facile: tiene i sottili rami di salice umidi ed elastici e impedisce che si secchino, spezzandosi durante l’intreccio… Ma io me ne rendo pienamente conto solo più tardi, quando rientriamo in casa per il pranzo e ci rimettiamo al lavoro, questa volta al coperto perché il tempo è peggiorato: bastano poche decine di minuti perché i rami diventino più rigidi, e la conclusione del mio cesto è tutta un crick e crack condito dalle mie imprecazioni borbottate. Sono arrivata fino a qui, mi dico, il cesto mi è uscito pure bellino: vedi mica che con le ultime rifiniture a secco mando tutto a farsi benedire? Tiro un sospiro di sollievo quando chiudo anche l’ultimo intreccio e ci unisco il manico, realizzato con un bel bastone levigato dalla forma irregolare.

Ce l’ho fatta, mi dico: ho realizzato un cesto da cima a fondo! E mi rendo conto di quanto questa giornata – trascorsa operando di mani anziché solo di testa e di taccuino – sia stata stranamente corroborante. Nel fare e nel parlare, nello scoprire una storia vicina eppure che sa di arti antiche, nel provare a cimentarmici mettendo da parte le remore e scoprendomi così collegata ai milioni di persone che, fin dall’alba dei tempi umani, si sono dedicate a questa attività.

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