venerdì , 26 Aprile 2024

Avere un senso per qualcuno

“Chi abita o abitava qui?”

Me lo chiedo ogni volta che incrocio una vecchia baita, una stalla, una abitazione sparsa tra i boschi e i prati. Quante case custodiscono le nostre montagne, e quante storie?

Solitamente è facile capire se il posto sia frequentato o meno: rampicanti, tetti crollati, porte divelte, lucchetti arrugginiti su stalle invase dalle erbacce parlano di luoghi mangiati dal tempo, piccoli e silenti musei di vite passate, e passate altrove. Sono posti un po’ dolenti, come santuari o mausolei dimenticati.

A volte, invece, è un arrivederci e non un addio a permeare i muri: lo raccontano i pochi fiori piantati di fuori, una vecchia vasca da bagno mutata in grosso vaso, la fila di lindi attrezzi appoggiati in una rientranza, come in attesa. Cos’è, quindi? Una stalla per il periodo estivo? Una casa di famiglia molto amata nel ricordo? Un piccolo angolo di fuga quando la città si fa troppo stringente? Poco conta: basta sapere che vive, respira, che qualcuno passa a trovarla di tanto in tanto, che ha ancora un senso per qualcuno.

Mi piacerebbe, penso, che tutte queste case avessero un senso per qualcuno, siano nella memoria di chi le conosce, come si fa con le persone care mancate. Che sia proprio l’assenza di ricordo e considerazione, a uccidere le nostre montagne, a sbiadire le nostre radici collettive?

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